LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE 
 
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza   sull'appello   n.   7857/11
depositato il 01/12/2011 - avverso  la  sentenza  n.  68/1/11  emessa
dalla  Commissione  Tributaria  Provinciale   di   VITERBO   proposto
dall'ufficio: AG.ENTRATE DIR. PROVIN. UFF. CONTROLLI VITERBO 
    Controparti: 
    STUDIO LEGALE DELFINO VIA CAIROLI, 2 01100 VITERBO VT 
    DELFINO ROBERTO 
    VIA IOPPI ANGELO 3 01100 VITERBO VT 
    DELFINO SILVIA MARIA 
    VIA IOPPI ANGELO 14 01100 VITERBO VT 
    Atti impugnati: 
    AVVISO DI ACCERTAMENTO n° TKL010302025 ED ALTRI IRPEF-ALTRO 2004 
    AVVISO DI ACCERTAMENTO n° TKL010302025 ED ALTRI IVA-ALTRO 2004 
    AVVISO DI ACCERTAMENTO n° TKL010302025 ED ALTRI IRAP 2004 
    Sull'appello n. 7992/11 depositato il 07/12/2011 
    Avverso  la  sentenza  n.  68/1/11  (emessa   dalla   Commissione
Tributaria Provinciale di VITERBO contro: AG.  ENTRATE  DIR.  PROVIN.
UFF. CONTROLLI VITERBO 
    proposto dal ricorrenti: 
    STUDIO LEGALE DELFINO 
    VIA CAIROLI, 2 01100 VITERBO VT 
    difeso da: 
    CINESI DR MASSIMO 
    VIA DELLA PILA 2 01100 VITERBO VT 
    DELFINO ROBERTO 
    VIA IOPPI ANGELO 3 01100 VITERBO VT 
    difeso da: 
    CINESI DR MASSIMO 
    VIA DELLA PILA 2 01100 VITERBO VT 
    DELFINO SILVIA MARIA 
    VIA IOPPI ANGELO 14 01100 VITERBO VT 
    difeso da: 
    CINESI DR MASSIMO 
    VIA DELLA PILA 2 01100 VITERBO VT 
    Atti impugnati: 
    AVVISO DI ACCERTAMENTO n° TKL010302027-2009 ED ALTRI  IRPEF-ALTRO
2004 
    AVVISO DI ACCERTAMENTO n° TKL010302027-2009  ED  ALTRI  IVA-ALTRO
2004 
    AVVISO DI ACCERTAMENTO n° TKL010302027-2009 ED ALTRI IRAP 2004 
 
                  Fatto e svolgimento del processo 
 
    1.- Con avvisi di accertamento  nn.  TKL010302025,  TKL010302027,
TKL010302028, notificati nel 2010, relativi all'anno. d'imposta 2004,
l'Agenzia delle Entrate di Viterbo  contestava  allo  "Studio  Legale
Delfino" ed agli Avv.ti Roberto Delfino e Silvia  Maria  Delfino,  in
proprio e quali associati, movimenti bancari in entrata  (versamenti)
ed  in  uscita  (prelevamenti),  rinvenuti  su  tre  conti   corrente
intestati, rispettivamente, uno allo "Studio legale" e gli altri  due
all'Avv. Roberto Delfino. 
    Il totale ammontare tra prelevamenti e versamenti di C  95.143,27
veniva, quindi, recuperato a tassazione, ai fini delle  II.DD.,  Irap
ed Iva,  in  capo  agli  stessi,  quali  compensi  professionali  non
dichiarati. 
    2.- L'avviso di accertamento de quo  veniva  impugnato,  con  tre
distinti ricorsi, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale  di
Viterbo. 
    3.- Come enucleato nella  sentenza  n.  68/01/11,  depositata  da
quest'ultima  in  data  11  aprile  2011,  "il  Ricorrente,  in   via
pregiudiziale,   eccepiva   la   illegittima    applicazione    della
retroattivita' delle norme prese a base  degli  accertamenti  di  cui
alla legge n. 311 del 30.12.2004, che  estende  anche  ai  lavoratori
autonomi la presunzione legale che autorizza il fisco  a  considerare
come reddito evaso anche i prelevamenti. 
    In via principale contestavano la arbitrarieta' delle conclusioni
in relazione alla tipologia di reddito  e  alla  considerazione  tout
court dei prelevamenti quali compensi omessi, senza porre  in  essere
ulteriori indagini,. specialmente nel caso in  cui  il  conseguimento
del reddito avviene per cassa e manca una specifica correlazione  fra
compensi e spese. 
    In  via  ulteriormente   principale   contestavano   la   mancata
riferibilita' delle operazioni non giustificate a redditi  di  lavoro
autonomo conseguiti dallo studio e sulla  verifica  delle  condizioni
poste dall'art. 32 del Dpr 600/1973, nella corrispondenza  di  alcuni
versamenti  riconducibili  all'attivita'  professionale  e  fatturato
dichiarato". 
    4.- La Commissione Tributaria Provinciale,  previa  riunione  dei
ricorsi dello Studio Legale Delfino e degli  Avvocati  associati,  li
accoglieva  parzialmente  "determina[ndo]  i   maggiori   ricavi   in
€ 42.685, imposte e sanzioni di conseguenza". 
    5.- Il Giudice di primo grado motivava  il  decisum  come  segue:
"Osserva che, pur rilevando  che  sussiste  una  certa  coerenza  tra
movimentazioni  finanziarie  complessive  ed  ammontare  dei  redditi
dichiarati, solo per una parte di esse di e 52.458 e'  stata  provata
uria  corrispondenza  certa  con  le  fatture  emesse,  mediante   la
produzione  di  un  elenco  della  loro   destinazione   e   relativi
beneficiari, mentre, come lo stesso ricorrente  ammette  anche  nelle
memorie prodotte, per la parte rimanente delle movimentazioni non  si
e' data contezza della loro destinazione e/o provenienza e per queste
il  Collegio  non  e'  stato  messo  nelle  condizioni  di   vagliare
l'inconsistenza  delle  risultanze   impositive   e   di   suffragare
totalmente la legittimita' delle doglianze sollevate". 
    6.- Avverso detta sentenza proponevano, ricorrevano  in  appello,
per la relativa  parte  di  soccombenza,  gli  Avvocati  Delfino,  in
proprio e quali Associati dello "Studio Legale  Delfino",  censurando
la sentenza di primo grado (app. 7857/11 depositato  il  1°  dicembre
2011): 
    6.a).- Per mancanza di pronunzia del Collegio di prime cure sulla
questione della modifica normativa apportata dalla  L.  311/2004,  in
vigore dal 01 gennaio 2005, al secondo periodo del primo comma  n.  2
dell'art. 32 Dpr  600/1973  (concernente  i  "prelevamenti"),  e  sui
relativi effetti applicativi in ordine all'accertamento  di  maggiori
compensi professionali dell'anno d'imposta 2004; 
    6.b).- Per quanto riguarda sempre i "prelevamenti", in ogni caso,
la sentenza impugnata veniva censurata per errore  di  giudizio.  Gli
appellanti rilevavano che, per  "un  totale  di  prelevamenti  che  i
verificatori asseriscono non giustificati e pari ad € 35.035,00,  per
ben € 31.381,25 risultano documentalmente  provato  il  beneficiario.
Appare  quindi  che  l'onere  della  prova  che  deve  sostenere   il
contribuente, nel caso di prelevamenti,  riguardi  l'indicazione  del
beneficiario del prelevamento effettuato  dal  conto  corrente".  Gli
stessi precisavano che "non vi erano specifiche per prelevamenti  per
un importo di € 3.653,75, ma ulteriormente  ribadiva  che  "l'entita'
dei  prelevamenti  non  giustificati  assume  un   importo   talmente
irrisorio  ...  che  e'  da  imputare  alle  esigenze   private   del
contribuente". 
    7.-  L'appellante  chiedeva,  dunque,  l'annullamento   integrale
dell'accertamento. 
    8.- La sentenza veniva, altresi',  censurata  dall'Agenzia  delle
Entrate con atto di appello n. 7911/11 depositato il 7.12.2011. 
    9.a).- La stessa rilevava che "l'accertamento [fosse] stato posto
in essere in  attuazione  del  comma  402,  lettera  a),  numero  1.1
dell'art. 1 della legge 30 dicembre  2004  n.  311,  con  riferimento
all'art. 32, primo comma, punto 2) del Dpr 600 del  1973,  che  aveva
esteso ai lavoratori  autonomi  alla  presunzione  di  "compensi"  ai
prelevamenti e agli importi riscossi per  i  quali  non  siano  stati
indicati i beneficiari". 
    9.b).- La sentenza veniva censurata, dunque, laddove  "i  giudici
di  primo  grado  [avevano]  ritenuto  assolto   l'onere   probatorio
incombente sulle parti private sulla base  della  allegazione  di  un
mero schema riassuntivo nel quale  venivano  indicati  i  beneficiari
delle  movimentazioni  ...  In  particolare,  con  riferimento   alla
richiesta  di  considerare  giustificali  e,  di   conseguenza,   non
recuperabili a tassazione i prelevamenti per i quali veniva  data  la
sola indicazione del beneficiario, si evidenzia che l'art. 32 del Dpr
600/1973,  al  comma  2,  dopo  aver  disciplinato  il  recupero  dei
versamenti   afferma   che   alle   "stesse   condizioni"    (mancata
considerazione in dichiarazione e rilevanza fiscale), i  prelevamenti
o gli importi riscossi nell'ambito di tali rapporti od  operazioni  e
non risultanti dalle scritture contabili, nel caso in cui il soggetto
controllato non ne indichi l'effettivo beneficiario, sono considerati
ricavi o compensi e accertati in capo allo stesso  soggetto.  ...  Il
fatto che il contribuente specifichi il beneficiario della operazione
passiva  contestata   e'   finalizzato   a   qualificare   l'inerenza
dell'operazione contestata, ma  cio'  non  significa  certo  che  sia
sufficiente indicare il destinatario del prelevamento  per  escludere
la recuperabilita' dell'operazione. Solo quando dall'indicazione  del
beneficiario si evince che il prelevamento non ha concorso al reddito
di impresa lo stesso potra' non essere considerato ... ". 
    11.- L'Agenzia delle Entrate chiedeva, dunque, la  riforma  della
sentenza e l'accertamento della piena ed integrale legittimita' degli
accertamenti. 
    La Commissione, all'udienza del 7 novembre 2012, all'esito  della
discussione richiesta dalle parti, riuniti i ricorsi, trattandosi  di
appelli  avverso  la  stessa  sentenza   emessa   dalla   Commissione
tributaria Provinciale di Viterbo, Sez. Prima (11.68/01/11 del 7.2.11
depositata il giorno 11.4.2011), si riservava la decisione. 
 
                             IN DIRITTO 
 
    Il Collegio, ritenuta rilevante  e  determinante  ai  fini  della
decisione, la questione di costituzionalita'  relativa  all'art.  32,
comma 1, n.  2,  secondo  periodo,  Dpr  600/1973,  di  cui  alla  L.
311/2004, ai fini della decisione del presente giudizio,  provvede  a
sollevarla d'ufficio, come segue: 
    1.- Sulla rilevanza della Questione. 
    Ritiene  il   Collegio   che,   nella   specie,   l'indagine   di
costituzionalita' dell'art. 32, comma 1, n. 2 secondo periodo,  nella
versione modificativa di cui alla L. n.  311/2004,  sia  rilevante  e
determinante ai fini della risoluzione del caso concreto. 
    Come si evince dalla ricostruzione dei fatti  di  causa  e  dello
svolgimento del processo, questo Collegio  e',  difatti,  chiamato  a
pronunziarsi sulla legittimita' di atti impositivi (quali  quelli  in
contestazione),  fondati  esclusivamente  sulle  risultanze  di   una
indagine bancaria condotta nei confronti di uno Studio Legale e degli
Avvocati Associati, ai sensi della norma predetta. 
    In particolare, la questione su  cui  lo  stesso  e'  chiamato  a
pronunziarsi  riguarda  gli  effetti  che  la  Legge   n.   311/2004,
modificativa dell'art. 32, comma 1, n. 2, seconda parte, ha  prodotto
su accertamenti riguardanti anni d'imposta precedenti  (nella  specie
anno 2004) quello di entrata  in  vigore  della  legge  medesima  (01
gennaio 2005). 
    La Commissione dovra', quindi,  decidere  della  legittimita'  di
accertamenti d'imposta  fondati  sul  recupero  a  tassazione,  quali
compensi professionali,  dei  prelevamenti  in  contanti,  effettuati
dallo Studio legale e dagli Associati nell'anno  d'imposta  2004,  in
parte non giustificati, in parte giustificati con la sola indicazione
del beneficiario dei prelevamenti. 
    2.- Dubbio di costituzionalita'. 
    Il dubbio di costituzionalita' nasce dalla lettura "a fronte" del
testo dell'art. 32, comma 1, n. 2; seconda parte, Dpr 600/1973, quale
integrato dalla L. 311/2004, laddove alla parola  "ricavi"  e'  stato
aggiunto il riferimento ai "compensi", cosicche' "sono altresi' posti
come  ricavi  o  compensi  a  base   delle   stesse   rettifiche   ed
accertamenti,  se  il  contribuente  non  ne   indica   il   soggetto
beneficiario e sempreche' non risultino dalle scritture contabili,  i
prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti
od operazioni". 
    A differenza della precedente formulazione, quindi, ove vi era il
riferimento ai soli  "ricavi",  atti  ad  evocare  esclusivamente  il
concetto di reddito d'impresa; nella nuova formulazione e' stato  dal
Legislatore aggiunto il  riferimento  ai  "compensi",  integrando  la
norma de qua, al fine  di  estendere  la  rettifica  dei  redditi  ai
prelevamenti su conti correnti riferibili a lavoratori autonomi. 
    La natura innovativa della norma, d'altra parte,  si  evince  nel
rapporto tra la prima e la seconda parte dell'art. 32, comma 1, n.  2
Dpr 600/1973, laddove, mentre nella prima parte il Legislatore non ha
mai  inteso  fare  sub-distinzioni,   tra   "ricavi"   e   "compensi"
riferendosi genericamente ai "dati ed elementi risultanti dai conti",
quale base di una rettifica mossa nei confronti,  del  "contribuente"
ai sensi degli artt. 38, 39, 40 e  41  Dpr  600/1973;  nella  seconda
parte, riguardante i prelevamenti, il Legislatore aveva ristretto  il
campo d'azione della norma ai soli "ricavi", con cio' dando  espressa
mostra di voler conferire all'A.F. il  potere  di  ricostruire,  alla
stregua dei prelevamenti non giustificati, i soli redditi d'impresa. 
    Da qui, il rapporto di genere a specie tra le due norme (parte  I
e parte II), contenute nel n. 2 del comma 1 dell'art. 32 cit.:  l'una
a disciplina della rettifica dei  redditi  (intesi  in  senso  lato),
sulla base dei versamenti non giustificabili dall'A.F. sulla base  di
una attento esame dei dati in suo possesso (presunzione iuris tantum)
e non giustificati dal contribuente  con  prova  atta  a  vincere  la
presunzione relativa di legge; l'altra volta  a  stringere  il  campo
alla  rettifica  dei  soli  redditi  d'impresa,  quali  generati   da
"ricavi",  presunti  "da"  e  nella  misura  dei   prelevamenti   non
giustificati. 
    Da qui la successiva voluntas legis di procedere con  l'addendum,
allargando la rettifica ai redditi di lavoro autonomo, quali generati
dai "compensi" presunti da prelevamenti non giustificati. 
    Trattandosi, quindi,  nel  caso  di  specie  di  un  accertamento
relativo all'anno 2004,  effettuato  su  compensi  professionali,  ai
sensi e per gli effetti dell'art. 32  cit.,  precedente  -  quindi  -
l'entrata  in  vigore  dell'addendum  normativo  de  quo,  vi  e'  da
chiedersi quali risvolti negativi possa avere  avuto  il  riferimento
nuovo ai "compensi", in relazione a  comportamenti  del  contribuente
gia' posti in essere prima  dell'entrata  in  vigore  della  modifica
normativa ex L. 311/2004 e, quindi, perfettamente  irrilevanti  sulla
base di una lettura plana della norma vigente all'epoca dei fatti. 
    3.- Violazione dell'art. 24 della Costituzione. 
    In particolare, il dubbio di costituzionalita' emerge, in primis,
in relazione all'art. 24 della Costituzione. 
    Gli  Avvocati  contribuenti,  difatti,  sulla  base  della  norma
vigente nell'anno in cui sono avvenuti i  prelevamenti  in  contanti,
non erano tenuti a sapere o a prevedere che, quei comportamento dagli
stessi tenuto (prelevamenti in contante), l'anno  successivo  avrebbe
automaticamente dato luogo ad una presunzione di compensi a nero. 
    Un comportamento assolutamente irrilevante sulla base della norma
vigente all'epoca dei fatti e'  divenuto  invece  -  sotto  la  lente
deformante dall'aggiunta normativa di cui  alla  L.  311/2004,  sulla
presunzione di compensi derivante dai  prelevamenti  in  contante  su
conto corrente - un comportamento  fiscale  stigmatizzabile,  perche'
atto a far presuppone direttamente  attivita'  in  "nero",  tanto  da
introdurre una inedita inversione dell'onere della prova a carico dei
contribuenti medesimi. 
    Circa quest'ultimo onere, pero', occorre rilevare come lo stesso,
nella logica dell'addendum normativo, diventi a dir poco impossibile. 
    I contribuenti si trovano, difatti, ad essere caricati di provare
la destinazione dei prelevamenti su c/c, nonostante  che,  all'epoca,
tale onere non fosse previsto ne' prevedibile. 
    La non prevedibilita' di un  tale  adempimento  derivava  proprio
dalla stabilita' nel tempo della previsione della  limitazione  dello
stesso a carico del solo imprenditore, ad  una  lettura  piana  della
norma. 
    Da qui la impossibilita' per gli stessi, di procurarsi, al  tempo
della  notifica  degli  accertamenti  d'imposta,  (effettuata,  nella
specie, nel 2010), la prova della  giustificazione  causale  di  quei
prelevamenti,  mai  precostituita  al  tempo  del  fatto  (nel  corso
dell'anno 2004), in relazione ad una norma  che,  ne'  ammetteva  una
presunzione di "compensi" dai prelevamenti  in  contanti,  ne'  -  di
conseguenza - richiedeva,  ai  contribuenti,  la  precostituzione  di
appositi  mezzi  di  prova  per  comprovare   la   legittimita'   del
comportamento  tenuto  e,  quindi,  la  giustificazione  causale  dei
prelevamenti. 
    Rimangono, cosi' scoperti ad  un  accertamento  d'imposta,  senza
possibilita' di opporre la prova contraria, tutti  quei  prelevamenti
(come nella specie  contestati),  effettuati  prima  dell'entrata  in
vigore dell'addendum normativo di cui alla L. 311/2004, in  relazione
ai quali i contribuenti non erano tenuti a precostituirsi  la  prova,
conservando scontrini fiscali e prove di pagamento di ogni  genere  e
specie. 
    Rimangono,  altresi',  scoperti,   (come   nella   specie   anche
contestati), tutti quei prelevamenti per i quali i contribuenti,  pur
in grado di indicare il beneficiario, alla stregua della formulazione
normativa, secondo cui "sono altresi' posti come ricavi o compensi  a
base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente  non
ne indica il  soggetto  beneficiario  [...]",  non  abbiano  comunque
mantenuto la prova della giustificazione causale. 
    D'altra parte, occorre osservare che la mancata tracciabilita' in
capo al beneficiario del trasferimento e' assolutamente in linea  con
la natura contante del trasferimento. 
    Anzi, proprio la natura contante  del  prelievo  fa  presupporre,
secondo  l'id  quod  plerumque  accidit,  che  lo  stesso  sia  stato
utilizzato come tale dal beneficiario dello stesso. 
    Ne', d'altra parte, e' pensabile che il diritto  alla  difesa  ed
alla prova dei  contribuenti  sia  rimesso  alla  libera  scelta  del
beneficiario di riversare le somme ricevute  in  contanti  sul  conto
corrente o utilizzarle direttamente. 
    Si tratta, all'evidenza, di una norma, che con  riferimento  alla
indicazione del beneficiario, dissimula comunque  un  "vicolo  cieco"
per  i  contribuenti,  i  quali  si  trovano  nell'impossibilita'  di
dimostrare, a posteriori, la legittimita' del  prelievo,  non  avendo
precostituito la prova della giustificazione causale dello stesso,  a
prescindere dall'uso  che  il  beneficiario  abbia  potuto  fare  del
contante. 
    Vuoi  nell'ipotesi  di   indicazione   del   beneficiario,   vuoi
nell'ipotesi di impossibilita' anche soltanto di ricondurre la  spesa
alla sua ragione causale, si tratta, quindi, di  menomare  gravemente
il  diritto  alla  difesa,  con  richieste  probatorie  ex  posi  non
giustificabili, invece, all'epoca dei fatti (anno 2004), sulla scorta
di un comportamento legittimo e  consuetudinario,  alla  stregua  del
portato dell'art. 32, comma 1, n. 2, parte seconda,  vigente  razione
temporis, prima dell'entrata in vigore, dal 01 gennaio 2005, della L.
311/2004. 
    In tal senso, d'altra parte, deve essere  letto  lo  Statuto  del
contribuente ed i principi enucleati nell'articolo 3, comma  2  dello
stesso, laddove, a sunto di quanto esplicato sin ora, il  Legislatore
ha inteso che "In ogni caso, le disposizioni tributarie  non  possono
prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui  scadenza  sia
fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla  data  della  loro
entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione  in
esse espressamente previsti". 
    Si  tratta,  in  specie,  della   valorizzazione   della   tutela
dell'affidamento del contribuente nella legge in vigore al tempo  dei
fatti, cosicche' non possano essere richiesti allo stesso adempimenti
ex post, neanche pensabili sulla scorta della norma previgente, tanto
da lasciare spiazzato il contribuente dinanzi a pretese  fiscali,  in
relazione alle quali lo stesso non si sia precostituito alcuna prova,
confidando   in   buona   fede   nella   legittimita'   del   proprio
comportamento. 
    Il  Collegio  rimettente,  infine,  non  ignora,  in   proposito,
l'ordinanza  di  inammissibilita'  n.  0318/2011,  laddove   l'Ecc.ma
Consulta affermava quanto segue: "sotto un  secondo  profilo  ...  il
rimettente non indica le ragioni poste a fondamento della prima delle
sopra indicate premesse interpretative da cui muove, secondo  cui  la
presunzione a carico degli esercenti  arti  o  professioni  e'  stata
introdotta dalla disposizione denunciata; che, al riguardo il giudice
a quo non precisa perche' ritiene di dover disattendere;  sul  punto,
il diritto vivente, secondo cui, invece, una identica presunzione era
operante gia' prima del 01 gennaio 2005 ed era applicabile  sia  agli
imprenditori  che  agli  esercenti  arti  o   professioni;   che   in
particolare, tale diritto  vivente  ha  sempre  ritenuto  che,  nelle
previgenti  formulazioni  dell'art.   32   del   Dpr   600/1973,   il
legislatore, nel prevedere  che  le  movimentazioni  finanziarie  non
giustificate e  non  contabilizzate  integrano  "ricavi",  ha  inteso
designare con tale termine non solo i redditi d'impresa, ma  anche  i
compensi professionali e di  lavoratore  autonomo  (ex  plurimis,  le
sentenze della Suprema Corte di Cassazione  n.  19692  n.  14041,  n.
10577, n. 10576, n. 10574 e n. 802 del 2011; n.  4560  del  2010;  n.
23852 e n. 6618 del 2009; n. 11750 e n. 430 del 2008;  n.  13819,  n.
12290, n. 11221 e n. 2437 del 2007; n. 19330 del 2006)". 
    Resta fermo, innanzitutto, quanto detto nella sezione relativa al
"dubbio di costituzionalita'" dell'art. 32, comma 1,  n.  2,  seconda
parte Dpr 600/1973, formulazione ex lege  311/2004,  con  riferimento
alla presunzione di compensi, relativa a prelevamenti effettuati  dal
contribuente in anni  d'imposta  (2004),  precedenti  la  entrata  in
vigore  della  legge  (01  gennaio  2005),  e  del  rapporto  tra  la
previsione di rettifica erga omnes in relazione ai  "versamenti",  di
cui alla prima parte dell'art. 32, comma 1, n.  2,  Dpr  600/1973,  e
quella di rettifica nei  confronti  dei  soli  imprenditori  (redditi
d'impresa) in relazione ai prelevamenti, di cui  alla  seconda  parte
dell'art. 32, comma 1, n. 2, Dpr 600/1973. 
    Se  deve  dirsi  formato  un  "diritto  vivente",  a  parere  del
Rimettente, lo stesso attiene all'utilizzo delle  indagini  bancarie,
quale presunzione iuris tantum di reddito  anche  nei  confronti  dei
lavoratori autonomi. 
    Cio', pero', e'  principio  generale  valevole,  fatta  salva  la
specificita' della  seconda  parte  dell'art.  32  cit.,  che,  prima
dell'entrata  in  vigore  dell'addendum  normativo  di  cui  alla  L.
311/2004, era applicabile ai soli imprenditori. 
    In ogni caso, anche a voler estendere  il  concetto  di  "diritto
vivente" al riferimento normative ai "compensi", di cui  all'art.  32
cit., primo comma, seconda parte, di cui alla  L.  311/2004,  occorre
osservare  come  il  "diritto  vivente",  ovverosia  il  consolidarsi
dell'interpretazione adeguatrice  della  Suprema  Corte,  cosi'  come
indicata dalla Consulta,  e'  comunque  successiva  al  comportamento
posto  in  essere  dai  contribuenti  nell'anno  2004,  a   sanatoria
dell'applicazione di una norma atta ad interessare  la  rettifica  di
anni d'imposta precedenti la modifica normativa. 
    Sembra  opportuno  osservare  che,  anche  da  ultimo,  la  Corte
Costituzionale  e  la  Suprema  Corte  hanno  mostrato  una  spiccata
sensibilita'  per  la  tutela  dell'affidamento  del  singolo   nella
formulazione della norma "scritta" pregressa, in  relazione  a  tutte
quelle fattispecie  in  cui,  a  seguito  del  carattere  "normativa"
dell'intervento interpretativo, idoneo comunque ad essere applicato a
fattispecie sostanziali e processuali pregresse,  le  prerogative  di
difesa e tutela processuale dei diritti potesse  subire  irrevocabili
pregiudizi  (cd.  overruling:   Corte   Cost.   n.   525/2000;   S.U.
15144/2011). 
    A parere del Rimettente nulla  toglie  che,  quand'anche  si  sia
formata  una   giurisprudenza   della   Suprema   Corte,   successiva
all'entrata  in  vigore  della  L.   311/2004,   ad   interpretazione
"normativa" di fatti pregressi, la  stessa  debba  essere  sottoposta
alla  Consulta,  alta  quale  spetta  il  compito  di   valutare   la
legittimita' costituzionale della raggiunta deriva interpretativa. 
    Pertanto, e' evidente la rilevanza e determinanza della questione
ai fini della soluzione del caso di specie, in relazione al parametro
costituzionale di cui all'art. 24  Cost.,  non  potendo  il  Collegio
decidere, se non a seguito di  una  indagine  circa  la  legittimita'
dell'accertamento  di  compensi,   in   relazione   ai   prelevamenti
effettuati nell'anno 2004, alla stregua  della  formulazione  di  cui
alla L. 311/2004. 
    4.- Violazione dell'art. 3 e 24 della Costituzione. 
    Il dubbio di costituzionalita'  dell'art.  32,  comma  1,  n.  2,
seconda parte, Dpr 600/1973 attiene, sotto altro  e  diverso  profilo
anche alla formulazione della norma, estesa ai "compensi"  dalla,  L.
311/2004, laddove e' previsto che "sono altresi' posti come ricavi  o
compensi a base  delle  stesse  rettifiche  ed  accertamenti,  se  il
contribuente non ne indica il soggetto beneficiario [...]". 
    La questione e'  rilevante  e  determinante,  atteso  che,  nella
specie, per parte dei prelevamenti sub indice, i  contribuenti  hanno
provveduto alla sola indicazione del beneficiario, sulla  scorta  del
testo normativa. 
    A giudizio del Rimettente, la norma non sembra  corrispondere  al
parametro costituzionale della razionalita', ex art. 3  Costituzione,
laddove viene a posteriori richiesto ai contribuenti un  quid  pluris
rispetto al dato normativo, ovverosia,  oltre  alla  indicazione  del
beneficiario, anche la giustificazione causale dei prelevamenti. 
    D'altra parte, qualora si ipotizzi che la  mera  indicazione  del
beneficiario sia prova  contraria  rispetto  alla  presunzione  iuris
tantum  di  reddito  professionale,  la  norma  non  avrebbe   alcuna
giustificazione  razionale,  essendone  vanificata  la   sua   stessa
funzione. 
    Qualora, poi, si ipotizzi che l'indicazione del beneficiario  sia
strumento  operativo   dell'Amministrazione   finanziaria,   atto   a
permettere una verifica del percorso causale del prelievo in capo  al
beneficiario, al problema della razionalita' si aggiungerebbe  quello
del diritto alla difesa dei contribuenti. 
    Laddove,  difatti,  l'A.F.  non  identifichi  la  giustificazione
causale del prelievo;  perche'  non  tracciato  dal  beneficiario  in
ragione della natura contante della dazione, ai contribuenti  sarebbe
comunque richiesto, di rimpallo, un adempimento aggiuntive rispetto a
quello rappresentabile sulla base di  una  lettura  plana  del  testo
normativo, ovvero quella  giustificazione  causale  non  rintracciata
dagli accertatoci in capo al beneficiario. 
    La  norma,  quindi,  anche  sotto  tale  altro  profilo,  risulta
insufficiente ed irrazionale, laddove richiederebbe per  implicito  e
su base non  scritta  ai  contribuenti  un  quid  pluris  probatorio;
divenendo altrimenti essa stessa, per littera,  un  incaglio  per  la
difesa. 
    La  stessa  e'  dunque  irrazionale  sotto  il   doppio   profilo
analizzato: 
    - o la stessa e' sufficiente, cosi' come formulata, con  la  mera
"indicazione  del  beneficiario",  a  giustificare  il  prelievo   in
contanti, divenendo, pero',  tanto  irrazionale  quanto  inutile  sul
piano dell'accertamento dei maggiori redditi; 
    - o impone,  comunque,  un  obbligo  probatorio  Aggiuntivo,  non
scritto e non previsto sulla base della  formulazione  normativa,  di
precostituzione  della  prova  della  giustificazione   causale   del
prelevamento. 
    In entrambi i casi, la ratio normativa sottesa alla richiesta  di
"indicazione del beneficiario" e' idonea  a  provocare,  quindi,  una
censura  della  disposizione  "scritta"  sotto   il   profilo   della
razionalita', ma anche della sufficienza e della trasparenza, qualora
gli obblighi reali imposti  ai  contribuenti  non  corrispondano  con
quelli invece descritti nella disposizione alla quale unicamente  gli
stessi sono tenuti ad attenersi. 
    La questione e', dunque, rilevante e determinante, trattandosi di
giudicare, nella  specie,  anche  di  prelevamenti,  per  i  quali  i
contribuenti hanno indicato i rispettivi beneficiari, senza ulteriore
prova documentale. 
    La stessa non puo' essere risolta diversamente, alla  stregua  di
una interpretazione costituzionale, rinvenendosi nel testo scrutinato
una  irrazionalita'  intrinseca  non   riconducibile   altrimenti   a
coerenza. 
    5.- Violazione dell'art. 111 Costituzione. 
    Sotto diverso ulteriore profilo, si ritiene, inoltre, che  l'art.
32, comma 1, n. 2,  seconda  parte,  sulla  presunzione  di  compensi
professionali,  applicato  a  prelevamenti   di   Avvocati   avvenuti
nell'anno 2004, ovverosia  prima  dell'entrata  in  vigore  della  L.
311/2004, leda altresi' l'art. 111 Costituzione. 
    Il  ribaltamento  dell'onere  della  prova,  avvenuto  con  legge
successiva  e',  difatti,  idoneo  a  provocare   degli   effetti   a
"sorpresa": a favore dell'Agenzia delle Entrate, la quale si trova in
una posizione di vantaggio  per  fatti  pregressi,  in  relazione  ai
quali,  in  vigenza  della  versione  normativa  dell'art.  32   cit.
applicabile ratione temporis, avrebbe dovuto  provare  il  fondamento
della pretesa fiscale avanzata; 
    specularmente, ad irrevocabile svantaggio  del  contribuente,  il
quale si trovi a dover fornire prove  sulla  giustificazione  causale
dei "prelevamenti" che, sulla scorta della norma applicabile  ratione
temporis,  lo  stesso  non  era  comunque  tenuto  a   precostituire,
raccogliere e conservare. 
    E' evidente che, in tale ipotesi, l'avvicendamento normativo  con
effetti ex tunc si  ripercuote  automaticamente  in  giudizio,  sulle
prerogative di difesa del singolo e sulla posizione  paritaria  delle
parti nel  processo,  laddove  l'una,  per  affidamento  nella  norma
previgente, si trova in una posizione deteriore rispetto ad un'altra,
invece avvantaggiata "a sorpresa", grazie alla modifica normativa con
effetti immediati sulle prerogative di  difesa  del  contribuente  in
relazione a fatti passati. 
    Ugualmente a dirsi, il processo rischia di  trasformarsi  un  una
"farsa"  ad  esito  scontato,  laddove,  pur  avendo  i  contribuenti
indicato i beneficiari dei  prelevamenti  in  contanti,  gli  stessi,
sulla scorta di una lettura piana della norma, non siano in grado  di
dimostrare, attraverso una produzione documentale, il loro assunto. 
    In tal caso, il giudice, salva la rimessione dell'indagine  della
razionalita' della norma, non  puo'  che  avallare  l'operato  di  un
Ufficio, che si limiti a negare la sussistenza  di  riscontri  presso
terzi del mero assunto dei contribuenti. 
    La norma, quindi, e' insuscettibile  di  un  effettivo  sindacato
giudiziale, con evidente  sproporzione  delle  parti  in  giudizio  e
parzialita' dell'esito definitivo. 
    6.- Violazione dell'art. 3 e 53 Costituzione. 
    Sotto ulteriore diverso  profilo,  l'art.  32,  comma  1,  n.  2,
seconda parte, Dpr 600/1973, deve essere portato all'attenzione della
Consulta anche con riferimento al parametro  della  ragionevolezza  e
del rispetto del  principio  della  capacita'  contributiva,  laddove
l'applicazione, anche combinata della prima e  della  seconda  parte,
rispettivamente correlata alla presunzione di compensi da  versamenti
ed alla presunzione di compensi da prelevamenti, sembra  giungere  ad
un risultato oltre che  irrazionale,  altresi',  non  rispettoso  del
principio  di  necessaria  tassazione   della   effettiva   capacita'
contributiva. 
    Questo Collegio non ignora che la norma  e'  stata  gia'  portata
alla  Consulta  per  violazione   del   principio   della   capacita'
contributiva (sentenza n. 225/2005). 
    In  quel  contesto,  la  Corte  Costituzionale  ha  rigettato  la
questione di costituzionalita', rappresentata come segue:  "La  norma
sarebbe  ad  avviso  del  rimettente  -  lesiva  del   principio   di
uguaglianza   in   danno   dei   titolari   dei   rapporti   bancari,
assoggettandoli  alla  irragionevole   doppia   presunzione   che   i
prelevamenti non giustificati siano acquisti  e  che  dagli  acquisti
derivino  ricavi,  costituenti  imponibile   per   l'intero,   stante
l'impossibilita' di dedurre i  costi  da  siffatti  ricavi  meramente
presunti.  Con  violazione,  percio',  del  principio  di   capacita'
contributiva". 
    Con  riferimento  alla  questione  cosi'  proposta,  la  Consulta
chiariva   che   "l'assunto   della    Rimettente    relativo    alla
indeducibilita'  delle  componenti  negative  del   maggior   reddito
d'impresa accertato  in  base  alla  norma  impugnata,  non  solo  e'
apodittico,  ma  risulta  altresi'  smentito   dalla   piu'   recente
giurisprudenza di legittimita', secondo cui, in caso di  accertamento
induttivo, si  deve  tener  conto  -  in  ossequio  al  principio  di
capacita' contributiva - non solo dei maggiori ricavi ma anche  della
incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti
dall'ammontare dei prelievi non giustificati.". 
    Orbene, a parere del Collegio la questione ha, dunque,  investito
la razionalita' della  norma  ed  il  rispetto  del  principio  della
capacita' contributiva, sotto il profilo della tassazione  definitiva
dei soli ricavi presunti,  difatti  risolta  dalla  Consulta  con  il
riferimento mitigante alla necessita' del riconoscimento di costi  in
misura percentualizzata. 
    Il   Rimettente   intende,   pero',   proporre   il   dubbio   di
costituzionalita'  sotto  un  duplice  profilo  di  insufficienza   e
comunque  estraneita'  della  sentenza  della  Consulta  all'indagine
precipua della norma, in relazione alle seguenti questioni: 
    Innanzitutto, per quanto concerne il reddito da  lavoro  autonomo
non possono valere le considerazioni  presuntive,  circa  il  binomio
"costi - ricavi", tipiche del reddito d'impresa. 
    L'attivita'  di  lavoro  autonomo  e',   difatti,   completamente
svincolata dai principio bilancistico de quo, cosicche' alcuna doppia
presunzione 1)"prelevamenti=costi" ;  "costi=compensi  professionali"
puo' sussistere in parte qua. 
    La norma, quindi, oltre che irrazionale, deve dirsi  irrispettosa
del principio della capacita' contributiva del  lavoratore  autonomo,
nella  misura  in   cui,   neanche   il   riconoscimento   di   costi
percentualizzati  possa  dirsi  ragionevole  ristoro,  dinanzi   alla
rettifica di maggiori compensi fondata su una  presunzione  di  legge
non valida e, comunque, irrazionale. 
    Secondo l'id quod plerumque accidit, difatti,  il  professionista
si trova a sostenere dei costi atti a concorrere alla formazione  del
reddito di lavoro autonomo, senza che agli stessi  seguano  compensi,
tantomeno in pari misura. 
    E' evidente, dunque, che l'aggiunta  normativa  di  cui  alla  L.
311/2004 non ha tenuto in debita considerazione le differenze tra  le
due tipologie di  reddito  (rispettivamente  d'impresa  e  di  lavoro
autonomo), giungendo a  risultati  abnormi  nella  ricostruzione  del
reddito professionale. 
    Va ricordato, difatti, che  l'imprenditore  e'  il  soggetto  che
organizza  il  capitale  ed  il  lavoro,  nella  cd.   organizzazione
d'impresa, ove, quindi, sono rilevanti anche i movimenti finanziari. 
    Il reddito di lavoro  autonomo,  invece,  e'  quello  che  deriva
dall'esercizio di un'arte  o  professione  ed  e'  determinato  dalla
differenza tra l'ammontare di compensi in danaro o in natura e quello
delle spese sostenute nell'esercizio della stessa arte o professione. 
    I prelevamenti dai conti correnti, pertanto,  non  rientrano  nel
presupposto della tipologia del reddito professionale. 
    L'aver   identificato   un    fatto    oggettivamente    estraneo
all'attivita'  di  produzione  del  reddito  professionale  viola  il
disposto dell'art. 53 Cost., identificando un elemento  di  capacita'
contributiva, estraneo oggettivamente alla tipologia del  reddito  in
esame. 
    Sotto questo profilo, non puo' essere confuso un indice  generale
di spesa, quale ipotizzabile in un  prelevamento,  ma  giustificabile
solo in relazione ad  un  accertamento  induttivo  e  non  invece  in
relazione ad un reddito  professionale,  cosi'  come  e'  qualificato
dagli artt.. 53 e 54 Tuir. 
    - In ogni caso, anche a voler estendere la correlazione "costi  -
ricavi" anche ai redditi di lavoro autonomo,  occorre  -  comunque  -
osservare la inidoneita' della presunzione 1) "prelevamenti-costi"  a
rappresentare in via presuntiva anche la sussistenza  di  un  reddito
d'impresa. 
    In proposito, occorre osservare come, anche in  tema  di  redditi
d'impresa, il costo si  sia  completamente  affrancato  dal  classico
binomio bilancistico con i ricavi, essendo  oramai  ius  receptum  la
riconducibilita' di tutti i costi sostenuti dall'impresa, e che siano
utili anche in via mediata  ed  indiretta  alla  stessa,  al  reddito
d'impresa, a prescindere dal legarne  diretto  ed  immediato  con  la
produzione di ricavi. 
    Ne consegue che il binomio "costi - ricavi" sia  interrotto  alla
stregua di una interpretazione dell'art. 109  Tuir,  successiva  alla
emanata sentenza della Consulta, ad estensione dei concetto di  costo
deducibile, quale quello sostenuto dall'impresa "per l'impresa" e non
per esigenze  personali  dell'imprenditore,  ma  non  necessariamente
correlato direttamente alla produzione dei ricavi, tantomeno  secondo
il  principio  della  competenza  (ex  plurimis,  Cass.  sez.  V   n.
18826/2007. In Dottrina M. Leo, le  Imposte  sui  redditi  nel  testo
unico, Tomo II, ed. agg. al 10 maggio 2010, sub  art.  109  Tuir,  p.
1991 e p. 2056). 
    La deduzione  "prelevamenti  =  costi"  e',  dunque,  inidonea  a
rappresentare altresi' una  ulteriore  deduzione  "costi  =  ricavi",
laddove  anche  la  ragione  dell'eventuale  sostenimento  di   costi
nell'ambito dell'impresa, secondo l'id quod  plerumque  accidit,  non
comporta la necessaria ed automatica produzione di  ricavi  nell'anno
d'imposta nella stessa misura del costo sostenuto, essendo plurime le
componenti del reddito d'impresa. 
    Alla stregua di siffatte considerazioni, di doppia natura, questo
Collegio ritiene, pertanto,  che  la  presunzione  di  legge  di  cui
all'art. 32, comma 1,  n.  2,  seconda  parte  cit.,  applicata  alla
rettifica  dei  redditi  professionali,  si  poggi  su   un   binomio
presuntivo "costi-compensi" (per quanto  di  interesse  ai  fini  del
presente giudizio) dai connotati troppo vaghi, come tali non idonei a
sorreggere e giustificare, sotto il  profilo  tecnico-giuridico,  una
rettifica dei redditi, attesa la  intrinseca  irrazionalita'  di  una
presunzione  di  legge  che,   invece,   dovrebbe   giustificare   la
razionalita' della norma e  la  piena  rispondenza  al  principio  di
necessaria tassazione dei redditi effettivi. 
    Di conseguenza, e' facile concludere sulla eccessiva sproporzione
tra   lo   strumento   di   indagine   affidato   all'Amministrazione
finanziaria, a fini accertativi, rispetto alle  esigenze  fiscali  di
individuazione e tassazione di redditi non dichiarati. 
    La  questione  non  e'  suscettibile  di  alcuna  interpretazione
adeguatrice, stante la intrinseca irrazionalita' della nonna, laddove
la stessa, con l'aggiunta normativa  di  cui  alla  L.  311/2004,  ha
inteso esplicitamente fondare una presunzione di  legge  di  maggiori
compensi professionali sui meri prelevamenti.